Alla luce del
segno: il presepe in ceramica di Giovanni Massolo per la
Prefettura di Alessandria
Plinio il Vecchio
racconta di una gara di maestria pittorica tra Zeusi e Parrasio: il
primo dipinse dei grappoli d’uva tali da ingannare gli uccelli, che
si misero a svolazzare intorno al quadro;il secondo rappresentò una
tenda con tanto verismo che il suo stesso rivale chiese di
sollevarla per poter vedere il dipinto. In effetti l’importanza di
Parrasio, pittore greco del V - IV sec. a.C.,è legata alla soluzione
originale data al volume e al movimento nella ricerca di una
spazialità tridimensionale.
Soprattutto nella
sua produzione vascolare, egli sfruttò alla perfezione le linee di
contorno “funzionali”, cioè con valore plastico, adeguandosi alla
mentalità teatrale che si andava allora affermando. Di qui
l’assimilazione delle figure a personaggi compresi nello spazio
scenico; di qui la valorizzazione della plasticità delle immagini in
un ambiente che le circondi. “La linea di contorno – spiega Plinio –
deve come girare su se stessa e finire in modo da lasciare
immaginare altri piani dietro di sé e da mostrare anche quelle parti
che non rivela”.
Ebbene, a
dimostrazione del fatto che nulla è più nuovo ( o moderno )
dell’antico, Giovanni Massolo per il suo presepe in ceramica si è
ispirato all’artista di Efeso. Nondimeno, a dimostrare che nell’arte
antico e nuovo, modernità e tradizione, spesso convivono
richiamandosi a vicenda in un insondabile gioco di sponda,
all’origine della composizione del pittore castellazzese ( ma con
radici liguri ) sta il ricordo della ceramica bianca e forse anche
delle vetrate viste nella cappella del Rosario di Saint-Paul de
Vence, squisita opera di Matisse, il cui stile si raffina e si
spiritualizza all’estremo a contatto con l’inondazione luminosa che
investe l’ambiente. Il sortilegio della luce anima i tratti neri del
disegno che si stagliano sulle bianche pareti e li trascolora
magicamente a seconda del variare della sua intensità. Così anche
Massolo affida a cangianti fasci di luce la declinazione atmosferica
del suo presepe, scegliendo di proposito, a supporto del suo
disegno,il candore della ceramica smaltata, in modo da valorizzare,
a sua volta, le potenzialità espressive della linea funzionale.
Il presepe è nel
complesso abbastanza tradizionale, con la Vergine e San Giuseppe che
si stringono, premurosi e protettivi, intorno al Bambino appena nato
e, sulla destra, uno scorcio di capannuccia con l’asino e il bue;
qua e là cespi aridi e, in lontananza, tra le ondulazioni del
deserto, un esile svettare di palme. Da sinistra spiove superna la
luce. Tutto è affidato alla sagacia del segno: la scena familiare si
accampa su una profondità illimitata che ne accentua il
raccoglimento e ne rende accorata la solitudine. In un rettangolo (
cm 200 x 1,20 ) di sessanta mattonelle di ceramica smaltata,
trattata con ossidi di piombo stemperati in essenza di trementina e
cotta quindi a ottocento gradi ( dalla Fabbrica Mazzotti di
Albissola Marina ), Massolo, con grande economia di mezzi, ha così
rappresentato il mistero della Natività nel solco – dicevamo – della
tradizione; ma si tratta, in realtà, di una tradizione rinnovata
dall’interno, risignificata alla luce di tecniche per certi versi
inedite. E’ infatti la luce ad arricchire il quadro di cromatismi
insospettati, a strapparlo alla sua staticità con il valore aggiunto
del dinamismo temporale. In questo l’artista è anche profondamente
popolare, in quanto, grazie a questa “futuristica” soluzione,
recupera alla pittura la tradizione natalizia del teatrino domestico
ed ecclesiale, la plasticità un po’ naive dei presepi d’autrefois,
senza peraltro indulgere ai vezzi del pittoresco, allo sfarzo dei
costumi, all’esotismo di maniera. Bastano pochi tocchi, con il segno
che ora si affina ora si ispessisce in un accenno di chiaroscuro e,
per il resto, la prospettiva dà respiro alla scena. Se anche gli
arbusti sono scarni, se all’intorno il deserto si estende a vista
d’occhio, se nessuna presenza umana conforta la sacra famiglia, non
ha importanza: una luce si è accesa, e quella che irradia la scena
ne è solo una timida metafora
CARLO PROSPERI
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